Poeta italiano. Nacque da Alighiero Bellincione e da donna
Bella, in una famiglia della piccola nobiltà fiorentina. Trascorse gli
anni della giovinezza dedicandosi allo studio della filosofia, della grammatica
e della retorica. Importanti furono le amicizie letterarie con Brunetto Latini
(di cui
A. parla nel canto XV dell'
Inferno), con i cultori della
scuola toscana tra i quali Guittone d'Arezzo e con i poeti dello Stil Novo,
primo fra tutti Guido Cavalcanti. Al 1274 risale il suo incontro con Beatrice,
il cui vero nome era Bice di Folco Portinari, sposatasi poi con Simone de'
Bardi e morta nel 1290. Chiamato alle armi dal Comune di Firenze, impegnato
nella conquista dell'egemonia regionale, combatté a Campaldino (1289) e
partecipò alla presa del castello pisano di Caprona. Nella Firenze divisa
tra le due parti dei Guelfi neri e dei Guelfi bianchi, appoggiò questi
ultimi schierandosi contro l'ingerenza di Bonifacio VIII, che proprio sui
dissidi interni fondava le sue speranze di dominio. Dopo la cacciata di Giano
della Bella e l'abrogazione degli ordinamenti di giustizia, la
possibilità offerta ai nobili di ricoprire cariche pubbliche,
purché iscritti a qualche arte anche senza esercitarla, permise ad
A. di entrare attivamente in politica dopo l'iscrizione all'Arte dei
medici e degli speziali. Dal novembre all'aprile del 1296 presenziò ai
consigli della città e divenne membro del Consiglio delle capitudini. Nel
1300 fu incaricato di condurre un negoziato con il Comune di San Gimignano per
promuovere l'adesione alla lega guelfa. Dal giugno all'agosto dello stesso anno
ricoprì la carica di priore; in seguito agli scontri tra i Guelfi neri e
quelli bianchi, decise, insieme agli altri priori, di espellere otto capi di
ciascuna delle due fazioni. Nei mesi successivi però i Bianchi poterono
fare ritorno mentre i Neri si appoggiarono sempre di più al Papa che
inviò allora come suo legato Carlo di Valois con il finto proposito di
sedare le rivolte ma con l'intento effettivo di appoggiare i Neri.
A.
insieme ad altri ambasciatori venne mandato a Roma per placare il risentimento
del pontefice. Mentre l'ambasceria era ancora in corso, Carlo di Valois
consegnò a tradimento la città nelle mani di Corso Donati. Sulla
via del ritorno il poeta venne condannato all'interdizione dai pubblici uffici e
alla confisca dei beni, se entro tre giorni non avesse pagato 5.000 fiorini
piccoli; non essendosi presentato, venne condannato al rogo, cui sfuggì
con l'esilio. Nei primi tempi si unì ai compagni esuli: a San Gaudenzo fu
tra i firmatari del patto con gli Ubaldini per attaccare Firenze, quindi
cercò aiuto tra i fuoriusciti a Forlì e Verona e nutrì
qualche speranza nell'opera di pacificazione del cardinale Niccolò da
Prato. Successivamente si staccò dai fuoriusciti, optando per un
atteggiamento di orgogliosa solitudine; non partecipò così al
tentativo di un attacco armato a Firenze (in località La Lastra nel
luglio del 1304). Iniziò da allora un periodo di lunghe peregrinazioni.
Il signore di Verona, Cangrande della Scala, gli offrì ospitalità:
A. non avrebbe più rivisto Firenze, dove aveva lasciato la moglie
e i figli. Tra il 1304 e il 1306 fu a Bologna, quindi in Lunigiana presso i
Malaspina, in seguito a Lucca, nel 1308, e successivamente nel Casentino.
Coltivò in quegli anni la speranza che la salvezza di Firenze potesse
essere ottenuta nella rinunzia dei papi al potere temporale e nel dominio
assoluto di Arrigo VII, di cui sperava l'arrivo trionfante in Italia.
L'imperatore morì però proprio prima della discesa in Italia nel
1313, vanificando le speranze del poeta. Nel 1316
A. ritornò a
Verona, presso Cangrande e quindi si recò a Ravenna da Guido Novello da
Polenta dove compose
La Divina Commedia. Assunta un'ambasceria a favore
di Guido, si recò presso la Repubblica di Venezia. Sulla via del ritorno
fu colpito da una malattia e morì tra il 13 e il 14 settembre 1321. Fu
sepolto in un'arca di pietra nella chiesa di S. Pier Maggiore, ora dedicata a S.
Francesco, a Ravenna. ║
Opere minori: la prima opera certa di
A. è la
Vita nuova, composta tra il 1292 e il 1293.
È costituita da 42 capitoli in prosa poetica che fungono da itinerario
autobiografico e da commento delle poesie (secondo la tradizione della
letteratura latina e provenzale). I componimenti poetici hanno diverse strutture
metriche: sonetto semplice (23), sonetto doppio (2), canzone (4), ballata.
Nell'opera
A. racconta il suo amore per Beatrice dal primo incontro,
avvenuto quando egli aveva solo nove anni, fino alla morte della donna. Lo
scrittore riferisce del turbamento provato alla vista di Beatrice, della
decisione di dedicare a Beatrice alcune poesie fingendo di rivolgerle ad altra
donna per non far conoscere la sua identità, dell'indignazione di
Beatrice che toglie il saluto al poeta, del proposito di scrivere allora poesie
in nome di Beatrice, del sogno premonitore della morte della donna e della sua
effettiva scomparsa, della consolazione di una donna gentile, dell'apparizione
di Beatrice in sogno, della volontà ultima di scrivere in suo onore
qualcosa mai scritto per nessuna altra donna (il preannunzio della
Commedia). Nella
Vita Nuova la figura di Beatrice appare
già "trasfigurata" e investita di quelle profonde attribuzioni
filosofiche e devozionali, che fanno di quest'opera il punto di svolta e di
decisiva maturazione della poetica stilnovistica. Beatrice è infatti la
donna "angelicata" che avvince, purifica ed eleva spiritualmente
A. fin
dal primo incontro. Superando quindi la breve esperienza d'amore degli
stilnovisti, la donna diventa fondamento di eterna salvezza. Il
Convivio,
scritto tra il 1304 e il 1307 nell'intenzione dell'autore doveva essere una
sorta di enciclopedia in volgare, un'esaltazione della scienza come mezzo
indispensabile per raggiungere la salvezza e la conoscenza della verità e
per elevarsi a Dio. Contiene canzoni filosofiche e morali, accompagnate dal
commento (in prosa volgare) che facilita la lettura e la decodificazione delle
implicazioni intellettuali e simboliche. Doveva essere composto da quindici
trattati uno di introduzione e gli altri incentrati su un argomento. Il poeta
compose però solo 4 trattati di complessivi 74 capitoli e tre canzoni.
Nel primo trattato l'autore espone i presupposti e gli intendimenti dell'opera;
nel secondo affronta il problema dell'ordine e della natura degli angeli; nel
terzo esalta la filosofia quale patrimonio di conoscenza riservato a Dio e agli
angeli, ma accessibile anche all'uomo che realizza uno stato di beatitudine
morale proprio attraverso l'appagamento dell'ansia di sapere; nel quarto
definisce il concetto di nobiltà, modernamente intesa come qualità
dell'animo, e non come privilegio legato al lignaggio. Vi appare al figura della
donna gentile che porta l'uomo alla salvezza attraverso la conoscenza. Il
De
vulgari eloquentia è un'opera incompiuta probabilmente scritta nello
stesso periodo del
Convivio. Consta di due libri per complessivi 31
capitoli.
A. vi affronta in chiave critica la questione della
legittimazione del "volgare" come mezzo linguistico adatto all'espressione
letteraria. L'opera venne composta in latino (la lingua della cultura e
dell'erudizione), perché godesse del necessario prestigio presso gli
intellettuali del tempo. Attraverso l'esposizione di una teoria di linguistica
generale e la minuziosa ricognizione delle parlate regionali,
A. perviene
alla definizione di un'ideale lingua unitaria, il
vulgaris illustris.
Tale strumento linguistico doveva dare origine, secondo lo scrittore, a una
forma di comunicazione artistica che, superando il frammentismo municipale e la
mancanza di un centro direttivo, doveva possedere i seguenti quattro attributi:
"illustre" (ovvero illuminata da sapienza e prestigio); "cardinale" (in quanto
rappresentativa di un centro cittadino); "aulica" (regale); "curiale" (ispirata a
criteri artistici). L'intento dominante di
A. era infatti quello di
sostenere le ragioni del volgare facendo breccia nell'ostilità della
classe intellettuale dell'epoca. Interrompendo la stesura della
Commedia
in occasione dell'arrivo in Italia di Arrigo VII
A. si accinse a scrivere
il
De Monarchia, in 3 libri. Nel primo libro
A. sostiene la
centralità del ruolo dell'imperatore, poiché solo una fonte di
autorità universale può garantire la pace all'umanità e
un'equa amministrazione della giustizia. Nel secondo, lo scrittore passa in
rassegna la storia dell'antica Roma, rivendicando al popolo romano l'ufficio
imperiale contro le usurpazioni dei grandi elettori tedeschi. Nel terzo vengono
analizzati i rapporti fra Chiesa e Stato: la netta separazione fra potere
temporale e spirituale si basa sulla teorizzazione della totale indipendenza e
sovranità del papa e dell'imperatore nelle rispettive sfere di influenza.
Il
De Monarchia fu avversato dai fautori del papato e dei Guelfi, quindi
bruciato per ordine del cardinale Bertrando del Poggetto. Della produzione
epistolografica di
A. restano solo 13
Epistole latine scritte tra
il 1304 e il 1320. Sono informate alla stilistica medievale che traeva
dall'
Ars dictandi regole precise e minuziose di redazione. Fra le
più importanti si ricordano:
Universis et singulis Italiae
regibus, scritta in occasione della discesa di Arrigo VII;
Cardinalibus
Italicis, diretta ai cardinali italiani dopo la morte di Clemente V per
deplorare le condizioni della Chiesa e di Roma. Tra il 1319 e il 1320
A.
scrisse due
Egloghe latine di tipo virgiliano in risposta a Giovanni del
Virgilio, che aveva mosso delle critiche all'uso del volgare nella
Commedia. Fra le altre opere ricordiamo la
Quaestio, una breve
dissertazione in latino tenuta al clero di Verona nel 1320. Lo scrittore vi
discute un argomento allora di grande attualità: ovvero la disputa
pseudo-scientifica inerente all'altezza del livello del mare e della terra. Il
Fiore, che recenti autorevoli studi attribuiscono certamente ad
A., è il rifacimento in 232 sonetti del famoso romanzo francese
Roman de la rose, codice dell'amor profano. ║
La Divina
Commedia (V. anche DIVINA COMMEDIA, LA): poema didascalico allegorico
scritto in terzine di endecasillabi, a rima alternata (ABA, BCB, ecc.).
A. la chiamò semplicemente
Commedia per la materia trattata
e lo stile corrispondente, per l'impiego del volgare e per l'iter narrativo che
da un esordio amaro approda a una conclusione felice. Il giudizio dei posteri vi
aggiunse l'attributo di
divina. In quest'opera trova espressione tutto il
Medioevo con le sue istituzioni, i suoi problemi, le sue passioni, elevati dal
poeta a problemi e sentimenti umani. La prima idea del poema era presente
già nella
Vita Nuova quando
A. pensava a una celebrazione
eterna della figura di Beatrice. L'opera venne però iniziata anni dopo,
forse nel 1306 in coincidenza con l'interruzione del
Convivio e del
De
Vulgari Eloquentia. Il disegno originario venne modificato e l'opera
concepita con un'ampiezza ben maggiore sulla scorta di tutta una nuova serie di
componenti letterarie, filosofiche e morali. Il poeta vi descrive il suo
miracoloso viaggio attraverso i tre regni dell'aldilà (Inferno,
Purgatorio, Paradiso), dominato dall'intenso desiderio di giungere alla
conoscenza di Dio. Dopo essersi smarrito in una misteriosa selva
(rappresentazione allegorica della caduta nel peccato),
A. riesce con la
guida di Virgilio (incarnazione della ragione) ad attraversare il regno delle
anime dannate (l'Inferno) ed espianti (il Purgatorio) per giungere infine al
Paradiso, dove la guida di Beatrice (simboleggiante la teologia e la fede) lo
conduce alla sospirata visione di Dio. Nel viaggio del poeta nell'aldilà
è adombrato il cammino esistenziale e spirituale dell'uomo che, dopo la
caduta nel vizio, recupera, con l'aiuto della ragione e della fede e attraverso
la fondamentale illuminazione della grazia divina, una dimensione spirituale
compiuta. L'ascesa di
A. dall'Inferno al Paradiso suggerisce dunque un
percorso di purificazione morale e di conquista della cognizione dei supremi
valori spirituali: dopo la presa di coscienza delle conseguenze del peccato
(Inferno), l'uomo anela tramite il pentimento alla catarsi (Purgatorio), fino a
innalzarsi alla contemplazione serena della luce divina (Paradiso). Tutta la
Commedia si svolge su un duplice registro, che fonde testimonianza
storica e riflessione etica, verità e allegoria, invenzione narrativa e
finalità edificante. L'opera può essere considerata come il
tentativo di dare una visione sintetica e unitaria della realtà.
Poiché il mondo appare ad
A. corrotto (corrotte sono infatti le
supreme istituzioni del Papato e dell'Impero, gli istituti civili e gli uomini),
con il suo viaggio il poeta, attraverso la meditazione sul peccato, vuole
riaccendere nel cuore degli uomini la luce dell'intelletto. Attraverso l'Inferno
e il Purgatorio
A. affronta il mondo delle debolezze umane sotto la guida
di Virgilio, la ragione. Di fronte alle passioni terrene incarnate dai
personaggi, il poeta reagisce come un uomo dibattuto, con l'animo agitato da
turbamenti e contrasti. Uscito dal Purgatorio
A. è purificato dal
peccato e come un novello Adamo può ricevere la grazia illuminatrice. Con
le discussioni con Beatrice egli si avvicina progressivamente alla verità
in ogni suo aspetto: scientifico, morale, filosofico, politico, religioso. Se
dunque nel
Convivio la scienza era intesa come raggiungimento della
verità attraverso la conoscenza razionale, ora scienza diventa conoscenza
del reale coincidente con quella di Dio (Firenze 1265 - Ravenna
1321).